Bologna, crocevia di equivoci e demagogia

A pochi giorni dall'inchiesta di Repubblica sulla rete non autorizzata di scommesse, che ha evidenziato un fenomeno sconosciuto ai più ma dalle dimensioni imbarazzanti, balza alla ribalta della cronaca di settore un'iniziativa pittoresca del Comune di Bologna, a firma dell'Assessore alla Sicurezza e Legalita Nadia Monti.



Al grido di "No Slot", motto ormai propagatosi come certificato di purezza dell'Ho.Re.Ca., bandiera blu del buon bere, denominazione di origine protetta dell'esercente modello, e che comunque meriterebbe più di un dibattito al posto di certe sterili propagande politiche travestite, si è deciso di rendere off-limits, nella rete wi-fi free messa a disposizione dal Comune nella zona centrale del capoluogo emiliano, i siti di gioco legali: siti di scommesse sportive, poker, bingo (e ovviamente anche Casinò, con le famose slot) dotati di licenza AAMS.

In poco tempo siamo passati dal tentativo (mal riuscito) di inibire i siti non autorizzati al tentativo (efficace) di bloccare quelli autorizzati: siamo nuovamente in una situazione paradossale che, ancora una volta, dimostra come il dialogo sia necessario per identificare degli obiettivi e costruire un percorso che produca dei risultati.
Caro Assessore Monti, il solo risultato che otterrà con questa iniziativa sarà dare una mano agli operatori di gioco non autorizzati: certo, perché questi operatori sono presenti sul territorio e veicolano i propri utenti direttamente su siti .com non autorizzati e privi delle procedure presenti sui .it, procedure pensate e messe in atto a tutela del cosumatore. Con questa iniziativa stiamo dicendo che i cattivi sono gli operatori che hanno fatto investimenti, che hanno assunto, che hanno formato talenti e stiamo dichiarando che i buoni sono quelli che operano da paradisi fiscali senza stabile organizzazione, quelli che non pagano le tasse, quelli che non creano occupazione se non un sottobosco di nero veicolato attraverso negozi che oggi-ci-sono-e-domani-chissà. Dov'è la logica, anche politica, in tutto questo? E dov'è l'interesse a tutelare le categorie più deboli se lasciamo che tali categorie popolino punti vendita che, sulla carta, non dovrebbero esistere ma che esistono di fatto e non si adoperano per monitorare e controllare il gioco all'interno di un ecosistema legale e protetto?

Sono abbastanza demoralizzato da queste notizie, ve lo devo confessare. Il demone del gioco si è propagato a macchia d'olio e ha trasformato un problema sociale, analogo a molti altri, in un fenomeno epidemologico di dimensioni catastrofiche. La cura? Purtroppo la cura che la politica sta testando in questi giorni è la diffusione di un nuovo batterio, ben più pericoloso ed immune a future iniziative: il batterio del gioco illegale, del ritorno al nero, del ritorno alla "bisca". E sì, perché quello che non si vuole comprendere è che il mercato chiede prodotti di gioco e ci sono due modi per offrirglieli: un modo è quello regolato in cui il somministratore deve attenersi a certe regole ferree ma è aperto al dialogo per, eventualmente, riscrivere quelle regole in maniera più restrittiva, cercando di anticipare e stemperare certe tendenze di comunicazione che imporrebbero un proibizionismo dissennato; l'altro modo è quello del proibizionismo dissenato, appunto, che riporterebbe il gioco in mano a soggetti pericolosi e incontrollabili. Non vi rendete conto che il No Slot sta già riportando nelle strade totem di vari tipi collegati a siti esteri che offrono gli stessi prodotti, magari, ma a payout sconosciuti e mossi da software di dubbia provenienza? Questo è positivo per il vostro curriculum politico perché formalmente avete tolto le slot dalle strade (e certo, ce n'erano troppe, non sono certo qui a fare Don Chisciotte). Ma conoscete il prezzo reale di questa manovra? E ne immaginate gli effetti? Esisterà un riconoscimento sanitario del gioco patologico il giorno in cui avrete rimosso il germe del gioco dal mercato legale? Credo proprio di no: un fenomeno nero tornerà a parlare a malati immaginari.

Comprendo perfettamente di avere un approccio ultraliberista che, quindi, andrà indigesto a molti lettori. Ma non credo di aver abusato di teoria ultraliberista in questo mio pensiero, se non in un passaggio: che senso ha vietare se la richiesta è così forte da produrre, immediatamente, un ritorno al mercato illegale? Ai posteri l'ardua sentenza...

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